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Gualtiero Marchesi
Via Vittorio Emanuele 23 25030 Erbusco (BS)
Tel. 030.7760550 Fax 030.7760573
Data recensione : 08/2005


El pueblo unido jamas serà vencido...
Accidenti, quanti ricordi legati alle voci degli Inti Illimani, a quei
semplici suoni andino-latini che caratterizzavano le loro canzoni. La
memoria corre alla mia adolescenza, sparita chissà dove e come, ai capelli,
allora folti e lunghi, nel vento del primo autunno, ai miei sogniS
Benvenuti (si fa per dire) nel bel (come sopraS) mezzo degli anni settanta:
appena alle spalle, il sessantotto, piazza Fontana, Pinelli, il delitto
Calabresi e le rivolte studentesche; nel presente, i primi grandi attentati
e le lotte politiche destra/sinistra (che, peraltro, mai toccavano il centro
che rimaneva costantemente al potere); subito dietro l¹angolo gli anni di
piombo, il terrorismo, il rapimento Moro, le stragi, i film denuncia con
Volontè, la banda Vallanzasca, gli uomini col borsello e coi pantaloni a
zampa d¹elefante, gli espropri proletari, il sei politico ed altre
piacevolezze che solo chi ha vissuto quegli anni può ricordare, invece che
con la dovuta perplessità, con quel minimo di piacere dettato dal ricordo
della propria gioventù.

Tutti parlavano di rivoluzione: chi per invocarla, chi per scongiurarla,
chi, ancora, per cavalcarne la moda. Praticamente tutti, peraltro, senza
avere idea di ciò di cui si stava parlando, se non gridando.
Nel silenzio, invece, in un quartiere, allora poco battuto, di Milano,
proprio tra la sede del Fronte della Gioventù (le giovani leve del MSI) e
quella del MLS (il che vuol dire, per chi non riuscisse a fare mente locale,
proprio nell'epicentro del terremoto: diverse vittime della follia di quegli
anni furono uccise nelle strade adiacenti), un uomo, non meno rivoluzionario
degli Inti Illimani ma meno sensibile al confronto fisico degli
extraparlamentari dell'epoca (di destra e di sinistra), predicava la "sua"
rivoluzione, quella gastronomico-culturale o, forse, sarebbe meglio dire
cultural-gastronomica.

Il panorama della ristorazione milanese era coerente al momento civico
vissuto dalla città: demoralizzante, quasi struggente. Spendere era, in
genere, un peccato capitale: farlo per mangiare era blasfemia pura. Il
Savini, tempio della ristorazione cittadina, era stato preso di mira dagli
³autoriduttori² ed era stato chiuso: il massimo consentito ai ³palati fini²
dell¹epoca erano la paglia e fieno ed i tortellini (entrambi alla panna, of
course) di Peppino, in via Durini o, peggio ancora, il famigerato Giannino.
Per la carne c¹era la Casa della Bistecca in piazza Beccaria eS il resto
era, se ci credete, peggio ancora. Peraltro, va detto che nessuno, se non
uno strano signore che scriveva sulle pagine del Corriere d¹Informazione (e
non del Giorno come ricordavoS) dallo sconosciuto nome di Edoardo Raspelli,
sentiva il bisogno di alcun miglioramento.

In questo quadro, in via Bonvesin de la Riva, il signore di cui sopra, poco
più che quarantenne, tal Gualtiero Marchesi, faceva qualcosa di
assolutamente inspiegabile: gestiva un ristorante nel quale il menù non
prevedeva antipasti, né primi né secondi, niente prosciutto e melone o
cotolette o tortellini panna, piselli e prosciutto. Quel signore, a costo di
essere paragonato al Conte di Sandwich dell¹esilarante racconto di Woody
Allen, apriva i ravioli, metteva l¹oro sul riso, proponeva cose mai viste
(nemmeno dai replicanti della generazione Nexus 6 di Blade Runner) e
presentava conti inimmaginabili sino a quel momento. Su di lui si sprecarono
le derisioni e le leggende metropolitane. Ecco le più diffuse: ³Conosco uno
che è stato da Marchesi (mai che qualcuno testimoniasse di esserci stato e
ne parlasse maleS n.d.r.): pensa che lui è anche un appassionato di
ristoranti, ma mi ha detto che spendi un sacco di soldi e che quando esci
hai ancora fame e devi andare al Quadronno (noto bar milanese, tuttora
frequentato ma all¹epoca luogo quasi di culto, altra n.d.r.) per sfamarti²;
³Marchesi? Chi c¹è stato mi ha detto che ti danno delle cose immangiabiliS
oh, siamo italiani noi, mica francesi²; ³200.000 lire per mangiare? Ma ti
rendi conto? (questa, per la verità, mi sembra di averla sentita dire altre
volteS)². Insomma, una serie di luoghi comuni tale da fare invidia anche al
dizionario di (mi pare) Flaubert.

La vita, per questo rivoluzionario, era quindi più dura di quella del
Colonnello Emilio Molina Vargas in un altro racconto di Woody Allen (mi
riferisco a Viva Vargas! al quale avrebbe fatto seguito il film Bananas).
Eppure lui, che come tutti gli artisti non si curava della compiacenza e dei
complimenti altrui, ha proseguito per la sua strada, continuando ad aprire
ravioli ed a cercare alternative allo squallore enogastronomico dell¹epoca.
La costanza, talora, nella vita paga e, dopo un po¹ di anni, quel "tal"
Gualtiero Marchesi, era diventato sinonimo di ricercatezza in cucina. Che il
personaggio piaccia o meno (ed a me, devo confessare, non ha mai fatto
impazzire), siamo tutti suoi debitori: se non ci fosse stato lui, la cucina
italiana avrebbe verosimilmente avuto una strada ancor più tortuosa.
Passano gli anni, direi almeno una quindicina e Milano è completamente
cambiata. E¹ passato un po¹ di tutto, sono finite le bombe, si è affacciato
in città un certo Silvio Berlusconi che, si dice, sia amico di Craxi e che
si è messo a fare tv ed a costruire quartieri di lusso fuori città, la gente
è tornata a spendere, i paninari si sono impadroniti di piazza San Babila e
del fast food, diventato improvvisamente moda. Siamo alla ³Milano da bere²
e, quasi subito, a Mario Chiesa (ci credete se vi dico che da allora sono
già passati dodici anni?).

Marchesi (che, ormai, era per tutti, anche per la moltitudine che da lui non
era mai stata, semplicemente ³Gualtiero²) era andato avanti per la sua
strada, firmando enciclopedie ed affiancando il suo nome persino a linee di
surgelati. L¹alta cucina stava per uscire dal ghetto, finalmente sdoganata:
era un momento da cogliere al volo, specialmente in una città come Milano.
Ma, a volte, chi nasce rivoluzionario ha il privilegio di riuscire a
rimanerlo.

Gualtiero, alle tenera età di 63 anni, chiude, quindi, il suo ormai storico
locale e se ne va in una zona della Lombardia, chiamata Franciacorta, della
quale si sta iniziando a parlare con insistenza da qualche annetto. Apre un
locale splendido, in un posto meraviglioso, chiamato ³l¹Albereta².
³MaS è pazzo?² ci si chiede. ³Ci sono artisti che non lo sono?² potrebbe
essere la risposta.

Per un po¹, però, da Gualtiero si mangia davvero maluccio. A 65 anni
passati, pare lecito pensare che questo grande cuoco abbia ormai dato ciò
che poteva dare (il che, si badi bene, non sarebbe comunque stato poco) e
che l¹Albereta sia il suo splendido ³buen retiro².

Persino ad Erbusco c¹è un ristorante che, per il sottoscritto, è migliore:
parlo della Mongolfiera dei Sodi, il cui titolare, Luigi Coppini, peraltro,
continua a ripetere che Gualtiero è tuttora di un altro pianeta.
SaràS penso, ma io mi guardo bene dal tornarci e, per anni, non prendo
nemmeno in considerazione l¹ipotesi di andare a mangiare da Marchesi.
Poi, però, arriva il 9 novembre 2004 e tutto, nella mia vita, cambia. Un bel
giorno, quindi, complice un breve soggiorno all¹Albereta, su stimolo della
persona che era con me, prenoto per due. Non rimarrà l¹unica volta
quest'anno e, dopo ormai alcuni pranzi e cene passati lì, posso dire che il
ristorante di Gualtiero Marchesi è la vera rivelazione del 2005.
Come i veri artisti, la sua vita è stata attraversata da momenti di migliore
e peggior vena e, a 75 anni, offre, a chi ha la fortuna di sedersi alla sua
tavola, dei grandi momenti di vera arte (si, lo so, è una ripetizione, ma
quando ci vuoleS) ed un¹esperienza di estrema piacevolezza, sicuramente una
delle migliori in Italia.

Il ristorante è bellissimo: se potete, andateci a pranzo. Potrete godere di
una maggiore attenzione del Maestro e di una vista estremamente rilassante
sul verde dell¹Albereta che, a cena, il maggior numero di clienti ed il buio
vi precluderebbero.

Il locale, come detto, è completamente immerso nel parco dell¹Albereta,
della quale occupa un¹ala. Quando prenotate, chiedete un tavolo verso il
fondo della sala, perché quando arriverete noterete, proprio sul fondo della sala, una
grande immagine, alta circa un metro e mezzo e larga tutta la parete, che
rappresenta dei cuochi all¹opera. Una volta arrivati tutti i commensali
prenotati, però, questa immagine si alzerà e lascerà il posto ad una grossa
finestra che dà direttamente sulla cucina, permettendovi di vedere i cuochi
direttamente al lavoro, con un effetto che ricorda un rito teatrale e che è
di estrema piacevolezza. Il ³sipario² resterà alzato sino a quando saranno
serviti i dolci allorchè, terminato il lavoro dei cuochi, si abbasserà
nuovamente.

Il servizio è di gran classe, professionale, senza la minima sbavatura.
Sarete accolti da una scelta di aperitivi, da dell¹ottimo pane di diversi
tipi (migliore, non mi è ancora chiaro il perché, al sabato ed alla domenica
rispetto agli altri giorni) e da alcuni grissini tirati a mano con maestria.
Su ogni tavolo, una riproduzione di una diversa opera d¹arte, a significare
da subito l¹ammirazione che, per pittori e scultori, Marchesi nutre.
Il pasto, infatti, è un continuo gioco intellettuale molto più profondo di
quanto si possa immaginare, a mio modo di vedere quasi unico, fatto di
richiami al mondo dell¹arte ³istituzionale² (della quale l¹alta gastronomia
non fa ancora parte, mi auguro per poco).

Cominciamo dal menù, biglietto da visita di ogni locale. Marchesi fa ciò
che, secondo me, dovrebbero fare tutti. Da un lato, mantiene in carta i suoi
grandi classici, senza timore di essere preso per monotono: troverete sempre
il raviolo aperto, il risotto con la foglia d¹oro, l¹insalata di spaghetti e
caviale, che sono un patrimonio della nostra cucina e che ³devono² essere
lì, in carta, perché chiunque possa assaggiare e godere dei classici della
creatività, delle pietre miliari della rivoluzione cultural-gastronomica
italiana. D¹altro lato, non smette mai di pensare, elaborare, sperimentareS
E, così, uno dei benvenuti della cucina sembra un quadro di Mondriaan: un
piatto bianco, con un rombo nero all¹interno e, al centro del rombo, una
mozzarella, ovviamente e nuovamente bianchissima, di 125 grammi. Non mi
capita spesso, ma avrei voglia di fare una foto. L¹effetto è, davvero,
quello di uno degli esperimenti di Mondriaan sui pesi del colore e, in
questo caso, del bianco e del nero (o, volendo essere meno minimalisti,
verrebbe da esclamare, specialmente dopo averne saputo il contenuto, ³questa
non è più una mozzarella² sull¹onda della pipa magrittiana). In pratica, la
mozzarellina ³racchiude² un iniziale esperimento di caprese, dato che al suo
interno è stato iniettato del pomodoro (al basilico, credo, si arriverà). In
epoca di scomposizione, questo assaggio sembra lanciare l¹idea della
³ricomposizione². L¹effetto cromatico è notevole ed il gusto non è da meno,
dato che la materia prima è di alto livello.

Penso alla cosiddetta creatività dell¹³Hambook² o alla pizza scomposta della
quale non ricordo più il nome di Scabin e, dentro di me, sorrido. Questo
piatto non ha nessuna ambizione di creatività, ma è, dal punto di vista
intellettuale, molto intrigante (l¹alternarsi dei colori ­ rosso del
pomodoro incluso ­ sul piatto è, secondo me, degno di un pittore più ancora
che di un cuoco. Riuscire a mettere insieme queste due cose è, sempre a mio
modesto parere, un grande merito).

Proseguite, se posso permettermi un consiglio, con l¹Atto Unico di pesce o
con il dripping, sempre di pesce.
L¹atto unico è composto da 5 assaggi, ovviamente a base di pesce, tra i
quali i famosissimi spaghetti freddi in insalata con, tra l¹altro, caviale.
Sono ³la² migliore pasta fredda che abbia mai assaggiato. La fusione dei
sapori è sostanzialmente perfetta: il caviale (alimento di quasi impossibile
accoppiamento) si sposa in modo incredibilmente armonioso con la pasta
fredda (ovviamente cotta e raffreddata al momento). Non ricordo un
accoppiamento così convincente. Inoltre, altri quattro assaggi, uno migliore
dell¹altro, ricordo, in particolare, una salsina di peperone di incredibile
qualità, a fare da sfondo ad uno scampo.

Penso alla cosiddetta genialità dei ³sapori e profumi del mare² (o come si
chiama quel piatto) di Perbellini (piatto dalla medesima presentazione e
concezione, ma separato dall¹Atto Unico di alcune categorie quanto a tecnica
di preparazione e gusto) e, nuovamente, sorrido.

Il dripping di pesce è una portata che, da un lato, ha un valore artistico
da Accademia delle Belle Arti e, dall¹altro, un impatto sul palato difficile
da dimenticare. Il piatto si ispira a Pollock (pittore del quale non so un
granchè, devo ammettere) ma, dal basso della mia ignoranza, posso dire che
ricorda anche un quadro di Kandinskj (si scriverà così?). Una salsa di
elaborata composizione e colore sul giallognolo, unitamente a striature
color aceto balsamico tradizionale, fa da sfondo ed accompagnamento a
molluschi e crostacei di non superabile freschezza e sapore. L¹effetto
cromatico del piatto, al pari di quello della mozzarella, è da lasciare a
bocca aperta. Mentre si mangia, infatti, il piatto cambia forme, dominanti
di colore, tonalità (il cosiddetto ³dripping²). So che il gusto dovrebbe
essere l¹unico oggetto dell¹analisi, ma, una volta chiarito che parliamo di
sapori di altissimo livello, non mi parrebbe davvero onesto non dare il
giusto rilievo ad un gioco intellettuale, culturale ed artistico di così
alto livello.

Proseguite, poi, grosso modo con quello che volete. Il raviolo aperto, se
non l¹avete mai assaggiato, è un ³must² al pari del risotto con la foglia
d¹oro.

Di suprema (aggettivo che non uso quasi mai) bontà, invece, il filetto di
vitello alla Rossini con scaloppa di fegato grasso ed il maialino da latte.
Sul primo: ci sono decine di benchmark di piatti nei quali la scaloppa viene
accoppiata a della carne ma, sino ad oggi, nessuno mi ha convinto come
questo. Sul secondo: il miglior maialino da latte che avevo assaggiato era
quello di Alajmo, assolutamente straordinario. I due piatti sono, però, di
concezione troppo diversa per essere paragonati: croccante quello del
Maestro di Erbusco e, allo stesso tempo, leggero sin quasi all¹inverosimile,
tenerissimo (data la lunghissima cottura) e sapido quello della Calandre.
Se volete andare sul pesce, sono eccellenti a dir poco le triglieS (no, non
ricordo i dettagli del piatto).

I dolci sono, verrebbe da dire ovviamente, fantastici anche se la mia
preferenza va ad un dolce che ho, ahime, appena assaggiato: "tre gusti per
un dolce" (una combinazione di mousse al cioccolato ed al caffè, con un
cuore di crema... meraviglioso). La loro presentazione è quanto di più
semplice ed essenziale ci possa essere, ma i sapori sono sostanzialmente
perfetti. Penso, nuovamente, ai trictrac, caccavelle e putipù di certe
presentazioni e, anziché sorridere, me ne chiedo la ragioneS
Su tutto, lui, questo settantacinquenne che il mondo verosimilmente ci
invidia e che noi, invece, bistrattiamo. Un grandissimo artista che sta
vivendo una stagione di incredibile ispirazione, creatività ed efficacia. Il
suo locale, lo ripeto, è una macchina perfetta dentro la quale pulsa,
visibile, in ogni angolo, il suo cuore rivoluzionario che, altrove, sarebbe
stato premiato con il Cavalierato della Repubblica, con monografie, con ogni
sorta di riconoscimento (il detto ³nessuno è profeta in patria², secondo me,
è stato coniato pensando all¹Italia come patria di riferimento: Marchesi, se
fosse nato a Nizza e si chiamasse ³Marchesì², sarebbe trattato come una
sorta di semi-dio) e che, invece, qui da noi è ancora lì che lotta,
predicando la sua via culturale alla gastronomia con un tono educato ma
imperioso, che fa venire in mente, parlando di rivoluzione, il motivo degli
Inti Illimani al quale facevo riferimento all¹inizio.

Se avrete, infatti, la fortuna di andarlo a trovare (settembre ed ottobre
tra quei vigneti, tra l¹altro, sarebbero da soli un¹ottima giustificazione
per un viaggio), lo troverete lì, in cucina, la ³sua² cucina, la "sua"
trincea, nella quale, metaforicamente, sarà sempre impegnato a predicare la
sua strada... ³con voz de gigante, gridando Adelante!²


JFSebastian

P.S.: chiedo scusa per la lunghezza, spropositata persino per i miei
standard. Mi pare il minimo tributo che, nel mio piccolo, potessi dare ad un
uomo al quale, come appassionato di ristorazione di alto livello, di arte,
di educazione, sento di dovere molto.