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La Ferme de mon Père - Marc Veyrat
367, route du crêt 74120 Megève France
Tel. (33) 4 50 21 01 01 Fax (33) 4 50 21 43 43
Data recensione : 04/2005


"Caro Diario, oggi, 9 novembre 2004, ore 7.00 del mattino, ho scoperto
che, per tutta la mia vita, mi hanno imbrogliato. La perfezione, su
questa terra, esiste, eccome se esiste. Ora lo so. La mia dirimpettaia
di oggi, in treno, era la confutazione vivente di tutti quei luoghi
comuni sull'inevitabile imperfezione dell'essere umano. Peccato che il
viaggio sia durato così poco da non poterla conoscere meglio… chissà se
e quando ricapiterà qualcosa di simile".


"Caro Diario, oggi, 29 marzo 2005, ora di cena, ho scoperto che esiste
un ristorante che si avvicina alla perfezione. Certo, nulla di
comparabile a chi sai tu, ma, a parte quel fenomeno inavvicinabile di
novembre, difficile fare di meglio… scusami, adesso. Non ho tempo di
raccontarti tutto, ma prima o poi lo farò".


Io non ho mai tenuto un diario ma, se mai lo avessi fatto, queste
sarebbero state due annotazioni che avrei fatto. Ebbene si, la Ferme de
Mon Pere, a Megeve, uno dei due ristoranti di Marc Veyrat, è un
ristorante sostanzialmente perfetto; anzi, lo avrei definito perfetto se
qualche mese prima, a novembre, non mi fossi imbattuto, ovviamente per
caso, nella "vera" (e, in quanto tale, unica) perfezione.
Non riesco, davvero, a trovare un solo difetto a questo locale (tolto
quello di cui parlerò alla fine) e, anzi, troverei mille spunti dei
quali provare a discutere.

La Ferme si trova a Megeve, sulla strada per Mont d'Arbois, in fondo ad
una stradina defilata che, salendo, troverete sulla vostra sinistra,
inadeguatamente segnalata.
La location è particolare, molto particolare ed è quasi miracoloso che
non scada nel kitsch, date le indubbie forzature che la caratterizzano.
Si tratta di una piccola fattoria: vi si accede da un cancello,
attraversato il quale si entra in quella che, a seconda degli orari e
dei periodi, è l'aia per far razzolare gli animali della fattoria o il
parcheggio del ristorante/albergo.

Appena oltrepassato il cancello, in una piccola costruzione sulla
destra, il forno per fare il pane.
Non descrivo l'esterno della costruzione: potete vederlo sul sito. Anzi,
facciamo una cosa: http://www.marc-veyrat.com/aller/megeve/index4.htm
Ci siete? Bene… allora. Quella che vedete è una foto scattata dal cancello.
Davanti a voi, l'aia. Le vedete quelle piccole porticine al piano terra?
Ecco, quelle sono le porte delle stalle, all'interno delle quali stanno
le capre, il cavallo, i maiali ed altri animali. Parte del soffitto e
delle pareti delle stalle sono trasparenti, poi vedremo il perché.
L'ingresso del locale è in alto, sulla sinistra guardando la foto, al
termine di quella salitella che potete vedere. Il ristorante occupa il
primo piano.

Al vostro arrivo, vi verranno incontro due persone di servizio che
indicheranno sino a che punto salire con la macchina, vi apriranno le
portiere e se, come nel nostro caso, sta piovendo, vi scorteranno sino
all'interno del locale sotto i loro ombrelli (le chiavi della macchina,
ovviamente, le lascerete in mani loro).

Eccoci all'interno. Le caratteristiche principali che,
immediatamente, vi colpiranno, nel corso della visita al locale che il
maitre vi farà fare prima di farvi accompagnare al tavolo, sono: (i)
l'onnipresenza del legno. Si, lo so che è tipico, ma davvero tutto
questo legno messo insieme non l'avevo mai visto ("il Paradiso del
Piromane" l'ha definito, con felice sintesi, la persona che era con
me"); (ii) delle grandi aperture di plexiglass (unica eccezione al
legno) sul pavimento ed alle pareti, dalle quali si vedono la cantina,
la stanza di affinamento dei formaggi, le stalle di cui sopra (si,
esatto: vedete mucche, maiali, cavalli, capre, pecore a pochi centimetri
da voi), etc… Insomma, dalla sala, si vuole far avere la sensazione
della fattoria sulla (e nella) quale il locale vive e, in realtà, tutta
l'esperienza vuole trasmettere il coinvolgimento nella fattoria del
padre del cuoco.

Non elenco i piatti. Abbiamo preso entrambi il menù "Sonata", che
trovate qui: http://www.marc-veyrat.com/aller/megeve/index1.htm.
Mi limito a citare quelli proprio indimenticabili (sennò, con oltre 20
portate, più che ad un diario bisognerebbe pensare alla "Ricerca" di
Proust) ed a riportarvi alcune riflessioni che ho fatto durante quella,
comunque indimenticabile, cena.

A) I piatti
Non compresi nel menù, ma "serviti" con l'aperitivo: (a) i "profumi
della fattoria". Una sorta di fiasco, bollente, che il cameriere vi
stapperà davanti e che inalerete. Effettivamente, sentite i profumi
tipici della campagna e della fattoria. Immagino che l'idea sia quella
di aumentare il coinvolgimento nel luogo. E' una cosa curiosa ma certo
non irrinunciabile; (b) la "tartellette" del 21° secolo. Anche questo
piatto, al pari di tutti gli altri, viene servito in modo molto curioso:
nella fattispecie, all'interno di una (anzi, due) di quelle confezioni
di cartone tipiche del latte. Ottima.

Da qui, parte una sorta di alluvione di sensazioni, sapori, assaggi,
profumi, presentazioni, davvero indimenticabili, tali da far sorridere
con un moto di compassione pensando agli imitatori italiani (immagino
sappiate a chi sto pensando). Non c'è sapore che non venga provato,
esperimento che non venga tentato. Insomma, qualcosa di unico.
Ogni portata viene servita in un "piatto" realizzato apposta ed ha,
sempre, qualcosa di "diverso" rispetto a tutto ciò che avete assaggiato
prima d'ora.

Mi limito, come detto, a parlare di quelli che mi si sono scolpiti nella
memoria. Se volete anche le descrizioni degli altri piatti… basta
chiedere.

(i) Superimposed Pumpkin, Ice Cold Green Peas, Warm Squash, Boletus
Mushroom Soufflé. "Questa è una zuppa". Questo è l'incipit della
presentazione del piatti fatta dall'incredibile cameriere (il migliore
che abbia visto in vita mia). Si tratta, in realtà, di molto più di una
zuppa. La portata viene servita in un grosso bicchiere triangolare da
cocktail, con le varie verdure divise a strati e caratterizzate da
temperature molto diverse, come spiegato nella descrizione del piatto
fatta dal cameriere. Basta limitarsi a bere e… ecco in bocca la migliore
zuppa di verdure mai assaggiata. La differenza di temperature (la
chimica, qui, la conoscono bene) rende possibile una scanditura dei
tempi di degustazione dei sapori delle varie verdure che, peraltro, si
fondono infine in bocca nel sapore della zuppa dei nostri sogni di
bambino (chi ne parlava? Forse Bennato…). Meravigliosa.

(ii) Bursting Bass, Milky White Chocolate, Sugarless Lime and
Lemongrass Syrup. Apoteosi! Il pesce viene servito perfettamente
cucinato, adagiato sul fondo di un piatto con una ciotolina sulla
sinistra (contenente lo sciroppo) ed un pennellino sulla destra. Il
cameriere mostra come vada "spennellato" il pesce con lo sciroppo
(queste operazioni, al pari di quelle che vengono fatte praticamente con
tutti gli altri piatti, vanno fatte a tavola e non in cucina, perché si
possa gustare al meglio la "reazione" tra i cibi). Il tutto è poggiato
su un fondo di cioccolato bianco. Beh… l'accostamento dei sapori è, per
me, geniale e, per quanto possa sembrare incredibile, il miglior piatto
di pesce della mia vita sono venuto a mangiarlo in una località
sciistica…

(iii) Filet of Veal Cooked in Clay, Sugarless Coffee Candies, Light
Gratin. Altro piatto geniale e realizzato con maestria unica. Il filetto
è presentato all'interno della terracotta, che viene rotta dal
cameriere. Un'emulsione di caffè va versata, man mano che il piatti
viene consumato, sulla carne e gustato insieme ai coffe candies.
Difficile descrivere la complessità delle sensazioni. Straordinario

(iv) Three Burnt Creams with an Apple Cigar. mi limito a citare la
crema cotta al timo. Commovente.

(v) Questi sono i quattro piatti che mi porterei sull'isola deserta.
Detto questo, delle venti portate che vengono servite, non ce n'è una
che non sia tecnicamente perfetta, che non sia "unica" nel suo genere e
che non desti curiosità ed ammirazione. Ripeto, vi risparmio la
descrizione di tutti i piatti per non abusare dello spazio, ma, se
volete precisazioni, sono qui.

B) Il servizio
Non esiste, ripeto, non esiste, un servizio migliore di quello di cui ho
usufruito da Veyrat. Tutto è stato assolutamente perfetto, gradevole ed
ineccepibile. Dal benvenuto all'arrivederci, non c'è stato un momento di
non eccellenza.

Tra l'altro, mi pare interessante notare come, il fatto di avere
camerieri estremamente competenti, permetta a Veyrat di fare
"completare" quasi tutti i piatti direttamente a tavola. Dalla
tartellette, all'uovo scomposto, al "sorbetto" (si fa per dire) di metà
pasto, al pesce, ai dolci, alla carne nella terracotta, etc…, il ruolo
dei camerieri è quasi fondamentale nel terminare la preparazione del
piatto, nel presentarlo e nello spiegare come si ritiene che vada
consumato.

Il servizio, peraltro, non è solo estremamente competente, ma
attentissimo. La persona che era con me ha declinato, ad inizio pasto,
cinque intolleranze alimentari, immediatamente memorizzate. Ad ogni
complimento, la reazione era di sentita gratitudine… insomma, meglio di
così non si può fare

C) L'organizzazione
Sono stato da Veyrat la sera prima di Pasqua, quindi di sabato: il
locale era strapieno, così come lo era stato tutti i giorni dell'ultima
settimana. In Italia sarebbe stata pronta la giustificazione "era sabato
sera, locale pieno… non il miglior momento per valutare". Qui, questo
discorso non vale. Nel momento di maggior pressione, tutto è stato
impeccabile.

Non solo: alcuni fatti.
(i) i due tavoli vicino al mio, sono arrivati in momenti diversi
rispetto a noi ed hanno preso lo stesso menù. La differenza temporale è
stata di circa un quarto d'ora (quindi il primo ha iniziato 15 minuti
dopo di noi ed il secondo 30). Mi aspettavo, in qualche modo, di
vederli, prima o poi, raggiungerci e proseguire insieme. Nemmeno per
idea. Il pasto è durato circa due ore ed un quarto per tutti. Loro hanno
avuto la stessa scansione temporale. In cucina, evidentemente, più di un
team lavora e si occupa di pochi tavoli;

(ii) abbiamo fatto alcuni conti. Ci sono, direi, almeno 40 coperti.
La serata dura, circa tre ore per la cucina. In queste tre ore vengono
serviti, quindi, circa 40 menù composti, con gli extra piatti
dell'aperitivo e del dolce, da circa 23 portate. Fanno 920 piatti che
escono, tutti perfetti nella presentazione, nelle temperature e nei
sapori, dalla cucina nel giro di tre ore, il che vuol dire circa uno
ogni 11 secondi! Tutti i piatti, giura il cameriere, vengono visti da
Veyrat prima che escano dalla cucina. Una sorta di miracolo
organizzativo!

(iii) Veyrat non esce di cucina fino alla fine. Abbiamo chiesto al
cameriere se fosse possibile complimentarsi. Egli, mettendosi la mano
sul cuore sorridendo, per ringraziare del complimento, ha risposto che
avrebbe riferito i complimenti, ma Veyrat non esce se non, a volte, a
fine serata se tutto, ma proprio tutto, è stato perfetto secondo i suoi
parametri. Ho pensato, in quel mentre, a… beh, potete immaginare a chi,
in Italia…

D) Commiato e conclusioni
Mi rendo conto di avere trasferito solo in minima parte le emozioni e le
sensazioni provate quella sera. Un po' dipende, come sempre, dalla mia
miseria lessicale. Un po', invece, dal fatto che, più di tanto, non mi
posso dilungare. Un po', infine, spero venga fuori dal proseguimento
eventuale del thread. Basti, per ora, dire che è stato il ristorante più
interessante nel quale sono stato ed uno dei pasti migliori che abbia
mai consumato. Per me, si mangia ancora meglio da Vissani, ma gli spunti
che dà Veyrat sono davvero unici.

Concludo con il commiato. Il cameriere vi accompagnerà alla porta e vi
saluterà come se foste stati i suoi primi e più affezionati clienti e vi
lascerà subito fuori dove, invisibilmente avvisati, gli addetti al
parcheggio hanno acceso e riscaldato la macchina, fatto manovra e vi
staranno aprendo le porte della vettura augurandovi un buon
proseguimento di serata e, nella fattispecie, buona Pasqua.

Una serata quasi perfetta che, se posso permettermi di individuare un
difetto, prende tutti e cinque i sensi, ma… non il cuore. C'è, per me,
qualcosa di "rigido", di "freddo" che rende ancora percettibile il velo
che separa ciò che è terreno da ciò che è perfetto. Quel cuore che si
sente, per es., da Vissani ed in altri luoghi. Veyrat è formalmente
splendido, i piatti sono tutti capolavori, ma l'emozione, quella che fa
innamorare, qui non l'ho trovata. Quella, caro Diario, quella della
perfezione vera ed unica, è rimasta in treno, il 9 novembre.


JFSebastian