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Shambala
Via Ripamonti 337, Milano
Data recensione : 10/2004


Buongiorno a tutti,
è passato un po' di tempo dall'ultima volta che ho deciso di avventurarmi in una recensione che fosse all'altezza del sito, ed in effetti per ritornare a scrivere avevo bisogno davvero di qualcosa di eccellente, dato che con le mie ultime incursioni culinarie credevo di aver esaurito tutti i possibili scenari e le possibili esperienze, soprattutto a certi livelli.
Ancora una volta a metterci lo zampino è stato l'ennesimo week-end milanese: cosa volete che vi dica, sarà la tranquillità che trasmette la lontananza da casa (forse), sarà la maggiore esperienza che con il tempo la ristorazione "etnica" ha acquisito da queste parti rispetto al resto d'Italia (probabilmente), sarà che la mia personale Beatrice, nell'accompagnarmi in una metropoli bella, a tratti sorprendente, ma forse non propriamente paragonabile al Paradiso dantesco, non sbaglia un colpo nel farmi conoscere i luoghi che sanno trasmettere le maggiori emozioni, oltre a garantire una cucina di alto livello (sicuramente), ma ancora una volta sento quasi un dovere nel buttar giù due righe su di un luogo che peraltro ho poi scoperto essere molto apprezzato dalla critica gastronomica del genere e, si dice, frequentato anche da qualche vip della Milano modaiola (ho sentito che un tale chiamato Giorgio Armani ogni tanto si faccia vedere da queste parti, ma non ci metto la mano sul fuoco).
In effetti, una volta lasciatisi alle spalle i palazzoni ed il senso di tristezza che caratterizzano uno dei tanti vialoni della periferia sud milanese, bruttini e probabilmente ancor più cupi quando vengono avvolti dalla nebbia invernale, si arriva in un luogo incantato, un piccolo casolare nascosto da una fittissima vegetazione chiamato Shambala (locanda asiatica con grandi alberi, appunto). Appena varcata la soglia non sembra più di trovarsi a Milano, si è avvolti dalla magia che le poche, soffuse luci e le mille candele al profumo di vaniglia trasmettono con grande semplicità. All'esterno, un piccolo giardino ricco di ninfee e bambù rimanda ad ambienti di stampo giapponese, all'interno tavolini bassi, veli, cuscini e gli immancabili baldacchini ci annunciano che ci si sta per avventurare in una nuova, intrigante esperienza fatta di tradizioni orientali, di sapori thailandesi, di cultura nipponica.
Forse i tavoli sono un po' troppo vicini, forse all'inizio pensi di non avere la giusta privacy che un posto del genere meriterebbe, ma poi, appena seduti, ti dimentichi di tutto il resto e ti concentri solo sulla persona che ti siede di fronte e, più vilmente, sul cibo, dal quale sembra quasi logico pretendere la stessa attenzione prestata per la cura dei dettagli dell'ambiente. Ed in effetti le aspettative non verranno disattese.
Confesso di provare qualche difficoltà nel ricordare tutto ciò che ho mangiato, forse per la scarsa dimestichezza che ancora ho con questo genere di cibo, ma, chiedendo anticipatamente scusa per le sicure inesattezze, proverò ad essere il più lucido possibile.
La cucina, come è facile aspettarsi, è un misto vietnamito-tailandese, con una proposta che spazia da piatti delicati ad altri speziati, dal classico sashimi ad originali zuppe, per continuare con insolite insalate di mango o con originali preparazioni a base di pesce, come la rosa di salmone.
Noi ordiniamo due antipasti e due secondi, uno di carne e l'altro di pesce.
Gli antipasti, per i quali servono le bacchette, sono una sorta di rollino con gamberetti, da intingere in una salsa tipo pinzimonio, e delle crocchette, anche queste da accompagnare con una salsa, questa volta piccante.
Come secondo decidiamo di orientarci verso qualcosa di più ordinario, così, nascosto all'interno di un piatto ricco di verdure, sbuca un delicato filetto di tonno scottato, al quale decidiamo di contrapporre una particolare preparazione di carne a mò di tagliata. Ripeto, i ricordi sono abbastanza confusi, ma la qualità dei piatti è assolutamente indiscutibile.
Non prendiamo dolce ma decidiamo di concludere la cena con un buon sorbetto al limone.
Ad accompagnare la cena scegliamo un buon chardonnay (16 euro) da una carta alla quale non presto grande attenzione ma che mi è sembrata un po' povera.
Il conto finale è stato di 99 euro, una somma che difficilmente riesco a definire esosa, ma che certamente scoraggerebbe una bel po' di gente dal ripetere l'esperienza.
Per concludere cosa dire, mi sembra di non aver lesinato complimenti ad un posto che li merita tutti, più che altro mi viene da dare un suggerimento. Non è certo il luogo adatto per improvvisare una rimpatriata con i vecchi compagni di scuola o dove organizzare cene di lavoro, ma è giusto che condividiate l'esperienza che sicuramente vivrete con una persona assolutamente speciale, così come è capitato a me. Spero prima o poi abbiate la mia stessa fortuna. Da ritornarci più e più volte. Un saluto e, alla prossima.


Alessandro Malangone