> Siti e blog del Network ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() TigullioVino.it
© |
Notizie e comunicati stampa dal mondo del vino![]() ![]() ![]() Resoconto dal Convegno "Enantio, figlio di un Dio minore ?" Questa la tavola rotonda svoltasi nel Centro sociale a Sabbionara d'Avio (Trento) nella mattinata di sabato 3 settembre. Tavola rotonda organizzata dal Consorzio tutela vini Terradeiforti (www.terradeiforti.it), nell'ambito della manifestazione "Uva e dintorni" che ha vestito a festa il paese trentino fino a domenica 4 settembre. "Il titolo non era causale, c'è forse un pizzico di provocazione verso i trentini che stanno valorizzando giustamente gli autoctoni ma non l'Enantio" ha introdotto Angelo Rossi, direttore del consorzio. Marco Sega, assessore all'Agricoltura del Comune di Avio, ha portato i saluti della locale amministrazione. "Come amministrazione - ha affermato l'assessore - stiamo cercando di promuovere il nostro territorio attraverso la riscoperta delle sue peculiarità. La presenza dell'Enantio era importante nel passato, nell'ultimo ventennio è stato utilizzato come vino da taglio, azzeccata in questo senso la definizione di ...figlio di un Dio minore. Andiamo in giro nel mondo a valorizzare prodotti di nicchia per non soccombere davanti alla globalizzazione, l'Enantio è spendibile sotto il profilo vitivinicolo ma anche sotto quello turistico". Paolo Castelletti, presidente di Terradeiforti, ha spiegato come "il progetto Terradeiforti nasce nel 2000 con l'esigenza di dare una maggiore identità alla parte meridionale della Valle dell'Adige. Già alla fine degli anni novanta la denominazione Valdadige si era rivelata inadatta alla nuova strategia: era una Doc di ricaduta, impossibile da spendere con un'immagine positiva. Ecco, allora, l'esigenza di definire un'area più ristretta, con un nome nuovo, ma pur sempre legata a 1500 ettari coltivati. Così facendo si è deciso di puntare sull'autoctono. Non già il Pinot Grigio, perché pur essendo il più remunerativo a livello economico per la nostra zona, è coltivato dappertutto a livello internazionale, non possiamo che subire le strategie di mercato imposte dai grandi produttori. Ciò non significa abbandono, anzi, l'incremento produttivo è sistematico. Abbiamo e stiamo puntando la comunicazione sull'Enantio che rappresentava già un secolo fa, allora come rosato di Avio, la più importante corrente esportativa del territorio. L'essere amato dai viticoltori perché resistente alle malattie, ai rigori invernali e tardivo in vendemmia, non lo ha salvato dall'espianto sistematico cui è stato oggetto per far posto alle varietà più richieste dal mercato. A distanza di un paio di lustri, possiamo convenire quanto l'azione sia stata opportuna: infatti, con il cambio generazionale dei viticoltori si sono modificate anche le tecniche di coltivazione, ed i risultati si cominciano a vedere e sentire. Oggi l'Enantio è coltivato su un centinaio di ettari pronti a dare un prodotto che non sfigura né accanto ai grandi rossi veronesi né agli autoctoni trentini Teroldego e Marzemino. La strategia portata avanti dalla Provincia di Trento ne dovrà tenere conto, come attenzione puntuale è stata riservata al progetto di zonazione viticola della Terradeiforti. Con la zonazione, infatti, si sono individuati 40 vigneti-guida ed il Comune di Avio si era fatto portatore delle nostre esigenze presso l'Amministrazione provinciale che ha prontamente stanziato un importo corrispondente a quello deliberato dalla Regione Veneto". Attilio Scienza, ordinario di viticoltura nella facoltà di Agraria dell'Università Statale di Milano, ha raccontato l'epopea dell'Enantio, suddivisa in due momenti. "La storia - ha spiegato il professor Scienza - inizia nel Neolitico, 6-7mila anni fa, con l'emersione delle terre dalla glaciazione. Successivamente, le prime comunità dei cacciatori che avevano cominciato a vivere in questi territori avevano inconsapevolmente paradomesticato dei vegetali in discariche vicino ai villaggi. Sorsero così spontanee piante di viti, ciliegio, nespoli, sorbi ed altre che furono selezionate tenendo solo quelle più interessanti per la vita del villaggio". Dal paradomestico si è passati nel corso dei secoli alla "domesticazione" di quelle viti selvatiche. "Della viticoltura locale - ha puntualizzato Scienza arrivando ad epoche più recenti - abbiamo pochissime notizie, desunte da E. Mach ed altri direttori dell'Istituto agrario di S. Michele ai primi del Novecento". Trascorsero i decenni fino ad arrivare agli anni ottanta quando la storia del Lambrusco a foglia frastagliata, come si chiamava allora, subì una seconda accelerazione. "Il Lambrusco era una varietà minacciata anche se amato dai tecnici trentini che, peraltro, non lo vollero inserito nelle varietà da valorizzare. Fra le varie ipotesi, nessuno pensò di farne un vino d'invecchiamento. Il professor M. Fregoni individuò il nome Enantio e lo centrò, a livello storico, perché Enantio era il nome che i romani davano alla forma maschile del vitigno che per poter essere fecondato abbisognava del polline "orientale". I fiori di Enantio venivano raccolti ed essiccati per fare un infuso con il vino bianco dal profumo afrodisiaco". "In questo contesto Enantio è forse tra i rari autoctoni veri con l'Oseleta veronese, l'Asprigno casertano e pochi altri. Autoctono significa del luogo ed Enantio è autoctono in quanto tale. Non lo è il Teroldego, né il Marzemino, nè il Moscato giallo che viene da Cipro. Nel 1985 abbiamo trovato viti selvatiche nei boschi in Lessinia e lungo la strada per Prà da Stua sul Baldo le cui analisi enzimatiche hanno evidenziato l'affinità genetica con la varietà oggi nota come Enantio che nel tempo ha mantenuto la sua purezza, la propria genetica, non ha avuto nessuna contaminazione". Oggi, per valorizzarlo, secondo Scienza, la strada è una sola: grande viticoltura, creazione di un'enologia ad hoc e comunicazione. "L'Enantio potrebbe essere quel totem che unisce due comunità, trentina e veronese, per ritornare ad una tradizione fedele". Enantio, cioè, come luogo d'aggregazione a cui, però, manca ancora qualcosa. "Manca il senso della perdita: il vitigno autoctono, infatti, si recupererà veramente solo se nella comunità si avrà la sensazione di stare per perdere qualcosa e proprio per questo è necessario recuperarlo. Quel senso credo che ci sia negli anziani più che nei giovani, maggiormente attratti dai Pinot grigio e dagli Chardonnay, economicamente più remunerativi. Sotto questo profilo occorre una piccola campagna comunicativa interna: occorre puntare su una diversa formazione dei tecnici perché i grandi enologi, famosi e dalle ricche parcelle, sono bravi a elaborare Cabernet e Pinot, ma di un vitigno autoctono non vogliono sentirne parlare, bloccandone così lo sviluppo. Un enologo che ha molta fretta, che entra in una cantina due volte l'anno, che non conosce la storia di quel vino non potrà occuparsene. Mi verrebbe da dire che occorre un enologo in ogni cantina, che cresca con il suo vino. Quanto alla comunicazione, essa è monopolizzata dalle "guide" che valorizzano sempre gli stessi vini, non certo i piccoli vini. Vini che debbono essere comunicati perché l'Italia non è la Francia, qui in ogni angolo si trova un capitello. E con esso una cantina da valorizzare". Oggi, conclude il professor Scienza, "bisogna investire di più nella cultura di questo vitigno per reintrodurlo nella nostra vita. Esiste sempre un confronto difficile tra innovazione e cultura. La tradizione, che per i romani significava "consegnare", ma al tempo stesso anche "tradire": un tradimento "fedele", mantenendo cioè la varietà, il carattere, il luogo d'origine, ma coltivando modernamente per il consumatore di questo millennio e non del precedente". Per informazioni: Consorzio Tutela Vini Terradeforti Via Brennero 30 37020 Peri (Vr) tel. 045.727.05.21 fax 045.727.05.20 email: info@terradeiforti.it Massimo Ugolini Rapporti con la Stampa 349.399.41.31 |