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La Rassegna Stampa di Tigulliovino
RIFORMA BIAGI: GLI EFFETTI SUL LAVORO IN AGRICOLTURA
ANALIZZATI IN UN CONVEGNO DELLE ACCADEMIE DI AGRICOLTURA. Promossa, con qualche riserva: anche in agricoltura, la ‘riforma Biagi’ apre interessanti prospettive, sia alle imprese sia ai lavoratori dipendenti (che oggi sono più un milione in Italia): sono indiscutibili gli elementi di innovazione per la flessibilità – job sharing o lavoro ripartito, job on call o lavoro intermittente, part time, staff leasing, appalti e distacchi, lavoro autonomo a progetto - e la regolarizzazione del lavoro familiare e occasionale. Tuttavia saranno necessari rodaggi, aggiustamenti e norme di attuazione più specifiche per l’agricoltura. Inoltre, essendo la riforma pensata principalmente per l’industria e il commercio, in materia di collocamento essa prefigura un sistema che è sì innovativo, ma che mette in competizione pubblico e privato, e può rivelarsi – per le esigenze dell’agricoltura - un po’ macchinoso. Esso coinvolge infatti nuove figure, quali i cosiddetti ‘enti bilaterali’ (formati da sindacati e organizzazioni imprenditoriali), Università, consulenti del lavoro, agenzie private. E’ questa la conclusione, sintetizzata dal giuslavorista dell’Università di Bologna prof. Luigi Montuschi, a cui sono giunti esperti e accademici intervenuti al convegno dell’Accademia Nazionale di Agricoltura e dell’UNASA: “Il fattore lavoro nell’ammodernamento dell’agricoltura italiana”. Il convegno UNASA (l’unione delle Accademie scientifiche italiane operanti nel settore agroambientale), che ha visto la partecipazione di Dario Casati (Università di Milano), Giorgio Castelli (Università di Milano), Andrea Segrè (Università di Bologna), Massimo Mazzanti (Confagricoltura), è stato il primo appuntamento nazionale in cui si è dibattuto di mercato del lavoro in agricoltura, e si è tenuto a Bologna, la città di Marco Biagi. Pur nella prevalente opinione favorevole emersa nel convegno, sulla riforma vi sono state varie considerazioni: per esempio, secondo Massimo Mazzanti, il part time e il lavoro interinale in agricoltura sarebbero molto interessanti per le aziende ma potrebbero risultare di difficile applicabilità pratica, perché meno convenienti dal punto di vista contributivo rispetto alle forme tradizionali (es. operaio avventizio). Secondo il prof. Luigi Montuschi, la riforma individua un’area di lavoro familiare (fino al terzo grado di parentela) e occasionale che non dà luogo a rapporto né subordinato né a lavoro autonomo, determinando quindi una sorta di ‘contraddizione’ e di area indefinita. E’ stato poi segnalato che certe nuove figure (part time) erano già state previste dalla contrattazione collettiva, oppure c’è stato chi (come Andrea Lasandari, dell’Agenzia regionale per il lavoro dell’Emilia Romagna) ha ravvisato contraddizioni e sovrapposizioni con legislazioni già in vigore. C’è stata anche una voce completamente fuori dal coro, quella del rappresentante della FLAI CGIL, Giorgio Scirpa, che ha espresso forti riserve sulla riforma Biagi e ha indicato nella stabilizzazione del lavoro in agricoltura, più che nella flessibilità, l’esigenza primaria. Numeri e tendenze del mercato del lavoro nello scenario agricolo L’iniziativa UNASA-Accademia Nazionale di Agricoltura ha consentito di ‘leggere’ con maggiore chiarezza i grandi mutamenti in corso nel settore agroalimentare e agroambientale, che non pochi riflessi hanno sul mercato del lavoro. E come si intuisce, dalla carenza di manodopera nell’agricoltura specializzata, alle dinamiche dei flussi migratori, fino alla tutela del paesaggio rurale, i problemi interconnessi alla questione lavoro in agricoltura riguardano l’intera società. Non solo le risorse umane in agricoltura si sono sempre più riversate in altri settori, ma negli ultimi 20-30 anni molte categorie professionali si sono sviluppate ex novo (vedi nella trasformazione agroalimentare, nei servizi, nell’agriturismo ecc.), mentre altre sono addirittura scomparse: è stata drastica la riduzione del numero degli addetti in appena 20 anni, da 3.000.000 a 1.000.000, per poco più di 100 milioni di giornate l’anno, dalle 572 giornate medie per azienda al nord, alle 350 al sud. Strettamente interrelati al mercato del lavoro, sono anche fenomeni quali la prepotente ascesa della meccanizzazione (1.600.000 di trattori in Italia con potenza media di 45 kw, tasso di crescita del 30% l’anno, con potenza media per addetto che cresce di 5 volte!) e della ‘meccatronica’, la tendenza alla multifunzionalità delle aziende, il ruolo preponderante del contoterzismo (altro comparto, peraltro, che ha fame di manodopera specializzata). La questione immigrazione e il lavoro nei campi Sempre collegato al tema del lavoro, è il fenomeno dell’immigrazione dall’Europa orientale e dai paesi extracomunitari. Secondo il prof. Andrea Segrè, il ‘flusso’ di 60.000 immigrati l’anno previsto dalla legge n.30 ‘Bossi-Fini’, per l’agricoltura non è affatto sufficiente. Oggi, il lavoro regolare degli immigrati in agricoltura è già il 10% del totale (secondo varie fonti si arriverebbe quasi al 20% considerando il lavoro nero), con più di 90.000 lavoratori. Più che ‘barriere’, sarebbero auspicabili – ha detto Segrè - programmi di formazione all’interno dei paesi di origine e programmi di sviluppo per le agricolture interne dei paesi da cui proviene l’immigrazione, così da preparare il terreno per l’immigrazione di rientro. Qualche dato sul lavoro in agricoltura in provincia di Bologna… Salariati (tempo determinato e indeterminato): 5500 Giornate di lavoro: 770.000 Quota di extracomunitari: 10% … E in Emilia Romagna Aziende agricole: circa 100.000 Aziende agricole con salariati fissi a tempo determinato: 9500 Giornate di lavoro di salariati: 3.000.000 circa (il 15% del totale). INFORMAZIONI: Segreteria scientifica dell’UNASA, presso Accademia Nazionale di Agricoltura tel. 051.268809, tel. + fax 051.263736; segreteria@accademia-agricoltura.it; www.accademia-agricoltura.it |