Vino e ambiente
Trattori, concimi, fungicidi: e poi riscaldamento e raffreddamento
di vasche, imballaggio, trasporto... Anche produrre vino inquina: si può
fare di meglio?
di Riccardo Modesti
Lo scenario è apocalittico. Il riscaldamento globale minaccia di distruggerci
completamente, questo almeno è quello che viene raccontato. Che il clima
cambi periodicamente, e questo è successo anche quando i pochi individui
che abitavano il pianeta non giravano in automobile, è un fatto noto,
anche se al pubblico non sempre arrivano le informazioni giuste a riguardo.
Inoltre, che il pianeta sia inquinato è pure un fatto noto e sotto gli
occhi di tutti. E su questo, niente da dire, se non quanto sia importante
fare di meglio.
Che c'entra il vino con tutto ciò? C'entra, eccome. Anche l'industria
del vino, infatti, consuma risorse e inquina l'ambiente. In un momento
in cui il tema della sostenibilità ambientale delle attività umane rappresenta
una delle priorità in agenda, anche la produzione del vino entra giocoforza
a farne parte. Non solo: detta sostenibilità, e soprattutto la possibilità
di dimostrarne l'efficacia con dati alla mano, sta diventando anche una
leva di marketing sempre più importante, soprattutto perchè è in crescita
il numero di consumatori che si sta dimostrando sensibile all'argomento.
A questo proposito ricordiamo che la catena di supermercati britannica
Tesco ha avviato un ambizioso programma di etichettatura di tutti i prodotti
alimentari aventi il proprio marchio, che reca non solo informazioni sugli
aspetti nutrizionali ma anche sulle emissioni di CO2, la cosiddetta "carbon
footprint".
Vediamo allora alcuni aspetti, grazie all'aiuto di un'interessante speciale
dedicato a questo tema e pubblicato sul numero di novembre 2007 della
rivista specializzata inglese "Decanter".
Consumo di acqua
A fronte di una crescita della popolazione e di una minore disponibilità
di acqua, tant'è che la previsione di diversi esperti di scenari globali
considera il controllo dell'acqua una possibile fonte di conflitti futuri,
l'uso della risorsa idrica in agricoltura sta diventando un aspetto sempre
più importante e considerato. Senza andare troppo lontano, infatti, basta
ricordare le recenti siccità estive nella pianura padana, e non solo,
che hanno fatto discutere sull'opportunità di operare delle riconversioni
colturali. Il problema si dipana infatti attorno alla quantità di acqua
utilizzata per la coltura e alla sua efficienza di utilizzo. Non solo:
l'acqua risulta infatti coinvolta anche da un punto di vista indiretto,
ovvero come ricettacolo di sostanze residuali da lavorazioni intermedie
quali concimazione, difesa dalle avversità parassitarie e attività di
cantina. In moltissime zone di produzione, comunque, la vite è ancora
una coltura che richiede quantità di acqua molto limitate, o che non ne
richiede affatto.
Vetro
Chi di noi berrebbe con entusiasmo del vino "imbottigliato" in plastica?
E chi tra i produttori di vino di alta qualità, soprattutto se appartenenti
a Paesi "tradizionali", avrebbe il coraggio di mettere il proprio prodotto
in un contenitore diverso dal vetro? E' un po' come usare il tappo a vite
rispetto al sughero. L'approccio al problema richiederebbe una visione
aperta e al di fuori dei luoghi comuni, ma soprattutto sostenuta da fatti
e cifre.
Chi si è posto il problema ha compiuto delle osservazioni piuttosto interessanti,
a partire dal peso delle bottiglie: mezzo chilo, vuote, è la norma. Si
sostiene però che anche quelle da 400 grammi potrebbero essere parimenti
robuste, portando con sé il non trascurabile effetto di far risparmiare
il 20% delle emissioni. Per trasporti "a lunga gittata", per esempio vino
australiano da esportare in UK, è stata individuata, come soluzione ancora
più rispettosa per l'ambiente, l'imbottigliamento in loco di vino trasportato
in cisterna. Trasportare bottiglie in bancali o in casse, infatti, significa
trasportare oltre al prodotto un contenitore di vetro, che ha un suo peso,
nonché avere una occupazione degli spazi non proprio ottimale. Bag-in-box
e contenitori in Tetra Pak e PET, nonché le nuovissime "pouch" - contenitori
rigidi in plastica e alluminio -, offrono soluzioni alternative leggere,
efficientemente impaccabili e igieniche. Poco entusiasmanti? Sicuro, ma
bisogna ricordare che queste soluzioni vengono adottate per vini da consumo
rapido, non certo per vini di grande pregio.
Chiusure
Dopo aver dissertato a lungo sui pregi, ma anche sui limiti delle chiusure
in sughero - leggi difetto di tappo -, e dopo averle quindi messe ferocemente
in discussione proponendo altri sistemi di chiusura - vedi sintetico e
screwcap -, salvo poi rimettere nuovamente tutto in discussione di fronte
ai vantaggi forniti dallo scambio di ossigeno tra vino e ambiente esterno
assicurati dal sughero, il dibattito si è ora spostato sulla sostenibilità
ambientale della produzione del sistema di chiusura. Secondo alcuni si
tratterebbe di una manovra delle aziende specializzate nel sughero per
ridare smalto al proprio prodotto, creando un diversivo positivo all'aspetto
critico del sughero, ovvero il problema del TCA. Comunque sia, alcuni
studi comparativi sulle emissioni derivanti dai processi produttivi darebbero
ragione a una migliore sostenibilità ambientale della produzione del sughero,
nettamente in vantaggio rispetto alla screwcap, perfino se ottenuta in
gran parte da alluminio riciclato. Amorim, l'azienda portoghese leader
mondiale nella produzione di tappi in sughero, ha altre frecce al proprio
arco a favore dell'ambiente: le foreste di querce da sughero hanno un
impatto positivo nel bilancio dell'anidride carbonica grazie all'attività
fotosintetica delle piante; il sughero stesso è in grado di trattenere
anidride carbonica al proprio interno; inoltre, Amorim utilizza nel proprio
processo produttivo fino a quasi il 50% di energia ottenuta da biomassa
vegetale e predilige il trasporto via mare, quando possibile ovviamente,
del proprio prodotto. Certo, da qui a concludere che per amore dell'ambiente
il consumatore debba essere in grado di accettare con il sorriso sulle
labbra una bottiglia che sa di tappo ce ne passa...
Emissioni
Anche se l'industria del vino non è certo la maggior responsabile dell'inquinamento
del pianeta, l'impatto esiste: la stessa fermentazione alcolica del resto,
produce non solo alcol etilico ma anche anidride carbonica, quest'ultima
risultante anche dalla lavorazione dei vigneti, dal trasporto del prodotto,
e da tutte le operazioni che consumano energia durante il processo produttivo.
Va da sé, ovviamente, che chi più produce più inquina. Il problema è stato
affrontato da alcune "winery", una decina delle quali - situate in Nuova
Zelanda, come Grove Mill, Sudafrica, come Backsberg, e California - può
vantare lo status di "carbon neutral", ovvero tanto emetto, tanto faccio
in modo di rimuovere. La cosa migliore sarebbe attrezzarsi in modo da
emettere il meno possibile: in alternativa, vanno bene sia il riciclaggio
degli scarti di lavorazione che l'uso di fonti rinnovabili. Per avere
comunque sicuri di avere un bel segno meno nel computo dell'anidride carbonica
presente in atmosfera, un sistema che funziona molto bene consiste nel
piantare alberi, che è ciò che le winery suddette hanno fatto.
Per concludere
Ma tutti questi discorsi buoni e giusti, quanto vanno a influenzare la
qualità finale del vino? Difficile rispondere. E' però più facile rendersi
conto che tutte queste attenzioni che mirano a rendere più "soft" l'impatto
del processo produttivo nei confronti dell'ambiente hanno sicuramente
una ricaduta economica: insomma, la loro implementazione ha un costo.
C'è però da aspettarsi che, vuoi per seguire una moda, vuoi per convinzioni
di tipo etico, le vendite di questi vini siano destinate ad aumentare.
Riccardo Modesti
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