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Vini e Notizie dal Centro-Sud

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Nuove strategie e nuovi scenari per il vino siciliano
di Fabio Cimmino




Introduzione
Si è svolta a Palermo lo scorso 17 e 18 novembre la VII edizione di
Degustivina: una ricca due giorni fitta di incontri, degustazioni
guidate, laboratori del gusto, convegni e tavole rotonde. Novità di
questa edizione è stata la prima edizione di Volio, una vetrina dedicata
all'olio extravergine d'oliva ed al suo mondo. Più di 50 espositori ed
oltre 300 vini offerti in degustazione sono stati protagonisti presso
Palazzo Butera, storico edificio seicentesco che si affaccia sul mare di
Palermo. La Sicilia che in questi anni ha puntato sui vitigni
internazionali per farsi conoscere ed affermarsi sui mercati sia
nazionale che estero si trova, oggi, di fronte a un bivio.



Siamo, infatti, in um momento i cui questi stessi mercati sembrano, ormai,
saturi, di siffatti prodotti di impostazione internazionale, troppo
fortemente omologati e standardizzati. Da quanto emerso dal convegno
tenutosi durante la manifestazione, questo processo di ricollocazione
del vino siciliano deve passare necessariamente attraverso il recupero
di una forte identità territoriale. Una rivalutazione, quindi, dei
vitigni autoctoni, in primis, e delle denominazioni d'origine tipiche
fino ad oggi trascurate e disattese.



Si pensi, solamente, che dai 120.000 ettari, circa, di vigneto
(di cui 70000 solo nella provincia di Trapani) si ottengo ben
6 milioni di ettolitri di cui solo il 15% finisce in bottiglia!.
Di questo imbottigliato solo poco più del 3% è Doc.
Tra gli strumenti indispensabili individuati per la realizzazione
di un progetto di così notevole portata la riconversione, in corso
d'opera, dei vigneti e l'inventario vitivinicolo aggiornato, già
disponibile. Le potenzialità del vino siciliano sono, inoltre, ancor più
straordinarie se si pensa alle sinergie, possibili ed auspicabili, con
un terriorio così ricco di storia, tradizione, bellezze monumentali e
paesaggistiche come quello siciliano.


Le degustazioni

L'Azienda Barone di Villagrande si trova alle pendici dell'Etna ed
appartiene alla famiglia Nicolosi Asmundo fin da tempi remoti. I vigneti
sono ubicati a 650 metri sul livello del mare e ricadono parzialmente
all'interno del parco dell'Etna, nelle zone DOC Etna ed Etna Bianco
Superiore. I vigneti sorgono su terreni di natura vulcanica e si
estendono verso sud. Il caratteristico clima di montagna, la particolare
esposizione, la vicina presenza di boschi di querce e castagni, creano
un "terroir" speciale ed unico per produrre vino. Sia i bianchi che i
rossi sono caratterizzati da una moderata gradazione alcolica e sono
ricchi di acidità fissa e in estratti. I rossi mostrano un naso
elegante ed al palato un nerbo vibrante con tannini ben fusi e
avvolgenti mentre i bianchi si distinguono per i profumi sottili e
penetranti senza rinunciare ad una buona struttuta e potenza.



L' Etna Bianco DOC Superiore 2005 è ottenuto da uve carricante 100
coltivate nella vigna "Legno di Conzo" su terreni di basalti vulcanici
sciolti e profondi. Giallo tenue con riflessi verdolini offre al naso profumi
delicati di mela e biancospino mentre al palato è caratterizzato da
un'acidità viperina che lo rende piacevolmente rinfrescante. Fiore
Bianco, IGT Sicilia, 2005 è, sempre, ottenuto da uve carricante in
purezza provenienti dalla "Vigna Casella" ed è affinato in legno.
I profumi sono solo leggermente più complessi, sicuramente più ricchi,
mentre al palato ritorna, nuovamente, un'acidità netta e vibrante.
Nell'Etna, Rosso DOC, 2004 il nerello mascalase riceve un contributo di
20% di nerello mantellato ed altre uve a bacca rossa provenienti dalla
"Vigna Monte. Il colore è un rosso rubino ed al naso offre sentori di
frutti di bosco molto eleganti e persistenti. Al palato mostra un'ottima
corrispondenza olfattiva giocata tra le note dolci del frutto e quelle
sapide di matrice minerale. Il vino che mi è piaciuto di più.

Anche per lo Sciara Rosso, IGT Sicilia 2002, le uve provengono dal cru
"Il Monte" ma è ottenuto con un saldo uve alloctone, merlot nello specifico,
ed è elevato in barriques. Non mi hanno convinto, in questo caso, le note
piuttosto verdi e vegetali che mi hanno lasciato dubbi su un'annata
forse dalle maturazioni non proprio ideali. La Malvasia delle Lipari
DOC, passito, 2004 nasce in un vigneto di proprietà sull'Isola di Salina
con un contributo di uno scarso 5% di uve corinto nero. Il colore è
topazio chiaro con riflessi ambrati, il profumo è intenso di fiori di
ginestra ed erbe aromatiche con sentori di albicocca matura, il palato
fresco ed avvolgente.

Veduta da Palermo


L'azienda agricola "Baroni di San Lorenzo" ha sede a Pachino nella
estrema punta meridionale della Sicilia. Produttori esordienti che fino
a qualche anno fa erano semplici conferitori di uve. I vigneti sono
tutti coltivati ad alberello e si estendono per circa 25 ettari. Le
vigne ricadono nel comprensorio della D.O.C. Eloro nel comune di Noto
ed, in particolare, nelle contrade Baroni e San Lorenzo, aree tra le più
vocate del territorio pachinese. In questa parte della Sicilia sud
orientale l'interazione fra microclima, aria salmastra e terreno
conferisce ai vini caratteristiche organolettiche del tutto peculiari.

I vini sono tutti ottenuti da uve Nero d'Avola in purezza.
Notte di San Lorenzo 2005 è la versione d'annata ed è affinato in solo acciaio.
Un rosso semplice e diretto, dall'accento un po' rustico, tradito da una
volatile a tratti sopra le righe. I cenni vinosi e l'immediatezza
espressiva del naso trovano riscontro in un palato un po' corto e
leggermente diluito. Molto più intrigante e decisamente più interessante
il Blu del Barone 2004, sempre nero d'Avola in purezza, ottenuto da una
vigna di oltre 50 anni ed affinato in legno grande. La maggiore
personalità è evidente pur denotando, anche in questo caso, qualche
sbavatura iniziale dal punto di vista della pulizia olfattiva.
Col passare dei minuti acquista sempre più autorevolezza e migliore
precisione aromatica. Convincente, invece, da subito, al palato dove
trova slancio e lunghezza nel finale. Da seguire.


L'azienda Barone Sergio è una realtà storica sempre nell'area della doc
Eloro. Obiettivo puntato, dunque, ancora una volta sul nero d'Avola che
in questa zona della Sicilia trova la sua massima espressione. L'azienda
pur dichiarando un impostazione ed un approccio tradizionale non ha
rinunciato, in questi ultimi anni, a portare avanti una profonda
ristrutturazione passata attraverso un deciso e continuo rinnovamento
tecnologico ed il risultato mi sembra più in questa direzione con vini
dai tratti moderni e, a dir il vero, un po' "freddi".
Sergio è un nero d'Avola in purezza, Doc Eloro 2005, che vede
solo acciaio: al naso si percepiscono sentori di piccoli frutti rossi
con evidenti sfumature vegetali.

Al palato il tannino è leggermente aggressivo sostenuto da una
piacevole freschezza. Sùli è, sempre, un nero d'Avola in purezza, IGT
2005, sempre affinato in solo acciaio e che ricalca le orme della
versione doc denotando però una migliore estrazione e maggiore
concentrazione. Le Mandrie 2004 è, invece, un blend paritario (50%) di
nero d'Avola e cabernet in cui inizialmente si avvertono evidenti note
di riduzione e che solo dopo una paziente ossigenazione riesce ad
offrire un più compiuto e complesso profilo espressivo. L'azienda si
dedica, con risultati interessanti, anche al petit verdot da cui nasce
il rosso Verdò. Un'altra uva fortemente legata a questo territorio e
presente nella tenuta è il moscato di Noto da cui si ricava un ottimo
vino dolce: Kaluri è un passito IGT Sicilia 2004 che affina parte in
acciaio e parte in botti rovere ed offre un profilo di frutta secca,
datteri e miele.


Curatolo è impegnato sia sull'autoctono che sulle uve foresti. Le due
selezioni 2003 di Nero d'Avola e Cabernet Sauvignon mostrano uno stile
personale ed austero a tratti elegante, sicuramente tradizionale e su un
registro più evoluto. Il legno, barrique, appare ben integrato. Sia nel
caso del nero d'Avola che del cabernet ritorna una distinta personalità
vegetale che nel primo caso vira verso note di foglie secche e
sottobosco, nel secondo verso quelle più classiche e fresche di
peperone.


Meritano una segnalazione i vini del nuovo corso della Duca di
Salaparuta
impegnata in progetti di valorizzazione da singoli cru e
specifiche aree geografiche. Mi ha convinto abbastanza il Lavico 2003,
novità realizzata nella tenuta di Vajasindi che si trova sull'Etna,
ottenuto per il 90% uve nerello mascalese con un 10% di merlot. Le
vigne, di matrice essenzilmenet vulcanica conferiscono al vino una dose
apprezzabile di mineralità. I profumi sono freschi, di frutta e fiori
rossi, ed allo stesso tempo speziati, di vegetale secco con cenni di
vaniglia, nota quest'ultima che tradisce l'affinamento di dodici mesi in
legno piccolo. Nasce, invece, vicino Butera, nella masseria Suor
Marchesa, il Passo delle Mule 2004 nero d'Avola 100% affinato per 8
mesi in barrique. Meno convincente del cugino etneo rimane un po' fermo
al naso su note vegetali e speziate confermate dal palato piuttosto
verde ed ancora in divenire.


Anche Passopisciaro, progetto siciliano della famiglia Franchetti
(Trinoro), mi ha sorpreso con il suo rosso prodotto sull'Etna. Questo
vino nasce in botti grandi di 40 ettolitri, da uve 100% nerello
mascalese, da una vigna quasi centenaria con un impianto di ben 9000
piante per ettaro ad alberello. Una fittezza d'impianto impensabile per
quell'epoca ma della quale non c'è da meravigliarsi. Leggendo, infatti,
il bellissimo libro di Salvo Foti, Etna i vini del vulcano, ho scoperto
che questo tipo di impianti così fitti e molto in voga oggi erano
sull'Etna all'inizio del '900 la regola!. Torniamo al vino: il naso è
pervaso da sentori di piccoli frutti rossi, concentrato, maturo ed
intenso. In questo momento mi è sembrato ancora molto giovane e
decisamente chiuso su un frutto scuro e dominante.
Pertanto nonostante sia, già adesso, molto piacevole, penso lo
si debba aspettare ancora perché raggiunga un profilo più ampio
e complesso e poterne godere appieno.

Interessante novità il Perricone 2005 dell'azienda agricola Romano
vinificato in solo acciaio. Note salmastre, minerali e dolci del frutto
si rincorrono in uno sviluppo olfattivo rigoroso, essenziale ed, allo
stesso tempo, di imprevedibile ed apprezzabile persistenza.


Marco De Bartoli è famoso sicuramente più per i sui vini dolci che per
quelli secchi. Questi ultimi pur scontando le caratteristiche di un
terroir difficile, praticamente sul livello del mare e su terreni
sciolti, sabbiosi, di medio impasto e con molto calcare, non sono
assolutamente da trascurare. Grappoli di Grillo 2005 è ottenuto in
purezza da vigne di circa 15 anni d'età ed è fermentato ed affinato per
un 20% in barrique nuove e per il resto di 2° e 3° passaggio.
L'acolicità del grillo è sostenuto da una buona verve acida e il rovere
contribuisce, senza un eccessiva invadenza, a rendere più complessa la
fase olfattiva e più persistente il finale al palato. Il Rosso di Marco
2003 è un Merlot e Syrah al 50% da una vigna più giovane, di soli 7
anni, che già offre una buona personalità minerale pur nell'approccio
immediato e piacevole (senza essere ruffiano) del vitigno. Inutile
dilungarmi su vini come il Vecchio Samperi e Bukkaram che si sono
confermati prodotti d'eccellenza.


I vini Baglio di Pianetto sono in una fase di continuo e progressivo
miglioramento. Ficiligno, dal nome della pietra che caratterizza i
terreni, è un bianco vinificato in solo acciaio frutto di viogner e
inzolia. Le prime versioni mi sembravano più brillanti quando la quota
di viogner era meno importante. Sarrebbe preferibile, forse, una
versione 100% autoctona visto che lo stesso uvaggio lo ritroviamo
nell'altro bianco fermentato ed affinato in rovere il Piana di Ginolfo.
Il Ramione ed il Piana dei Salici 2003 sono rossi di impostazione
moderna. Il Ra'is 2005 un interessante Moscato di Noto giocato sulla
freschezza più che sulla concentrazione zuccherina, il che ne fa un
ottimo accompagnatore di formaggi stagionati.

Baglio Pianetto


L'azienda Calatrasi dopo aver puntato per anni sui mercati
internazionali riscuotendo successi e consensi, da qualche anno, ha
aumentato considerevomnete la quota di bottiglie destinata al mercato
interno. Un 'azienda completamente diversa per dimensioni ed
impostazione , oggi, Calatrasi appare più come un apprezzabile progetto
di "sociale per il territorio" che di "vini di territorio", quest'ultima
è cosa ben diversa e nel bicchiere rimane ancora in buona parte,
comprensibilmente, disattesa. Il Viogner 2005 della linea Accademia del
Sole, dalle vigne di Campofiorito, tra i 600 ed i 1200 metri, sembra
penalizzato da una bottiglia poco fortunata dove si confonde l'intensità
con la definizione aromatica praticamente assente: bananoso.

Cantine Calatrasi, il ristorante

La linea Terre di Ginestra offre un Cataratto 2005 un attimo più delicato
al naso e più marcato dal rovere al palato ma anche piuttosto fuso ed integrato.
Il Nero d'Avola 2005 evidenzia note dolci del frutto e del rovere.
Il finale è ancora una volta segnato dal legno, che trattandosi dell'ultima
annata appena imbottigliata può considerarsi un veniale peccato di
gioventù. Il Terre di Ginestra 2003 vede un contributo del 30% di Syrah:
profumi più ammiccanti e ruffiani si impongono al naso mentre al palato
risulta morbido ed un po' alcolico. Interessante il progetto Baglio
Badami
per valorizzare il valore aggiunto di questa vera e propria
chicca aziendale. Bisogna solo tradurre le buone intenzioni nei vini:
Vioca 2004 (viogner e chardonnay) e (cab franc e syrah) denotano
intessanti potenzialità e notevoli margini di miglioramento.
Gran finale con un grande bianco dolce, il più classico dei passiti
siciliani, il Ben Ryè, edizione 2003, di Donnafugata.


Fabio Cimmino