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Vini e Notizie dal Centro-Sud![]() ![]() Aglianico del Vulture 2003 e dintorni di Fabio Cimmino Luciano Pignataro è un giornalista del Mattino che, oltre ad essere l'autore di alcuni libri "cult" per gli appassionati enofili del sud, come la Guida ai Vini della Campania, la Guida ai Vini della Basilicata e la Carta dei Vini della Campania e Basilicata, organizza anche una serie di serate dove in occasione della presentazione dei suoi lavori cerca di radunare il maggior numero di produttori cui si fa riferimento. Perchè se è vero che "scripta manent" è altrettanto vero che alla fine solo "in vino veritas" e nel nostro settore l'assaggio diventa passaggio indispensabile e unica fonte ultimativa ed esaustiva di conoscenza. Così è stato anche in occasione della presentazione della Guida ai Vini della Basilicata dove sono intervenuti ben 16 produttori tra quelli più rappresentativi dell'intero panorama produttivo della regione. I vini della Basilicata si identificano quasi sempre con l'aglianico del Vulture che sicuramente è la Doc più importante e che per qualità dei prodotti meriterebbe senza dubbio una G finale. Una considerazione, infatti, generale riguarda il livello qualitativo medio dei vini che è apparso decisamente orientato verso l'alto, un livello tale che poche altre regioni italiane possono vantare. Ma la Basilicata non è solo Aglianico e c'è anche una radicata tradizione spumantistica e bianchista che molto spesso sorprende per la personalità e l'originalità delle etichette prodotte. EccoVi dunque un resoconto completo e dettagliato degli assaggi della serata. Michele La Luce è un contadino che imbottiglia da qualche anno due etichette affinate esclusivamente in acciaio. Il S'Addat 2003 è un vino ricco di aromi intensi, persistenti ed eleganti di ciliegia e frutta matura. Al palato è caldo, equilibrato, con lunghi ricordi di spezie. Niente legno solo acciaio anche per lo Zimberno un altro piccolo gioiellino dell'enolgia lucana. Questo vino è ricco di note di frutta matura come prugne e more, sentori di tabacco, spezie e liqurizia. Il sapore è morbido con tannini esuberanti ma dolci. L'acidità è rinfrescante e, sorso dopo sorso, il bicchiere si svuota quasi senza accorgersene. Le Cantine del Notaio di Gerardo Giuratrabochetti non hanno bisogno di presentazione alcuna. Da anni il loro vini si sono imposti non solo all'attenzione del consumatore ma hanno, anche e soprattutto, fatto incetta di premmi e riconoscimenti di guide e concorsi. Il Repertorio è un continuo rincorrersi, l'uno dopo l'altro, di aromi fruttati. Il sapore, fresco e molto lungo, è in continua evoluzione. Sta a dimostrare e a ricordare che questo vino è vivo. La Firma è un'esplosione di profumi fruttati e speziati. La materia prima è inebriante al naso come polposa al palato. Elena Fucci produce, invece, il Titolo. In questo vino, versione 2003, c'è il passato, il presente e chissà se anche il futuro dell'aglianico del Vulture. Concentrato estremo di frutto e potenza lascia quasi disorientati e storditi per la sua carica aromatica e l'incredibile sostanza voluminosa, carnosa e tannica, che travolge, irruenta, tutto il cavo orale. Macarico produce due etichette che si differenziano per i tempi diversi di affinamento in barriques. Il Macarì fa meno legno del fratello maggiore e secondo me ne guadagna in vivacità e freschezza aromatica. Il frutto è integro al naso come al palato dove trova una decisa spinta acida a sostenere una beva più disincantata ed immediata. Macarico è il vino più ambizioso che pur partendo dalla medesima materia prima subisce un più prolungato affinamento in rovere. L'uso del legno mi è sembrato in questo caso più ingenuo e scontato. Non mi ha particolarmente entusiasmato nonostante risulti impeccabile dal punto di vista realizzativo preferendogli la versione più semplice. Le Cantine di Venosa producono oltre ad aglianico anche Moscato bianco che dà vita al "Dry Muscat". Se vi state chiedendo come mai un etichetta in lingua inglese per un vino lucano la risposta è semplice: gli inglesi vanno letteralmente pazzi per questo vino che offre apprezzabile finezza ed una delicata fragranza aromatica. Note agrumate e muschiate al naso ed un'acidità rinfrescante al palato ne fanno un vino da aperitivo per antonomasia. Da provare. Il Terre d'Orazio 2003 è un Aglianico del Vulture doc. Al naso è un esplosione di aromi di piccoli frutti di bosco, di confettura di prugne e di mirtilli. Al gusto il sapore è lungo e penetrante. Piacevole senza essere per forza ruffiano. Bisceglia presentava il suo vino base, un Aglianico del Vulture Doc, sempre 2003: un vino già leggermente terziarizzato nel colore e negli aromi che ricordano i fiori secchi e le spezie più che il frutto. Fa legno grande e si avverte: il passo è più austero e meditato di taluni sui vicini di banco. Il Consorzio Produttori del Vulture ha, invece, offerto in degustazione il Carpe Diem, Aglianico del Vulture Doc, 2003: dal colore pieno e compatto questo vino si annuncia, al naso, con aromi variegati di prugna, di mirtillo e di mora. Le sensazioni preannunciate alla vista e al naso si ritrovano in bocca dimostrando armonia, giovinezza e freschezza. Dragone produce un inaspettato spumante brut da uve primitivo. Un metodo classico da uve primitivo non l'avevo mai neanche immaginato possibile. Si tratta di un interessante reinterpretazione di un vitigno che sconfina dalla Puglia nella parte più orientale della Basilicata. La vinificazione è in rosa ed il risultato è un vino di carattere. Il naso regala delicati aromi floreali e frutati, di grande finezza, ed è difficile pensare che sia ottenute dalle uve di un vitigno noto più per la sua potenza e la sua poca grazia. Al palato è sapido e di buona persistenza. Anche questo è sicuramente una chicca da provare. Paternoster mostrava invece attraverso i suoi due vini simbolo due diverse chiavi di lettura dello stesso vitigno. Il Don Anselmo 2001 è il più tradizionale: offre una grande ampiezza aromatica formata da un delicato boquet di fiori appassiti, frutta rossa matura, more e prugne, su uno sfondo di cuoio leggermente tostato. Il gusto è denso e potente. Il Rotondo è la versione dichiaratamente più aperta e diretta ai mercati internazionali e dal gusto moderno. Non è nelle mie corde senza ciò nulla togliere alla assoluta bontà della sua tecnica realizzativa nonchè della suo profilo organolettico. Anche Terre degli Svevi del gruppo GIV offriva le sue due versioni-interpretazioni di Aglianico del Vulture. Serpara è quella forse meno pretenziosa, più semplice, fresca ed immediata. Si tratta di una novità ttenuta da un cru vinificato in purezza. Re Manfredi è il solito concentrato di potenza in divenire. Molto chiuso e restio a concedersi al naso dove il passo è austero e l'incedere, a dir il vero, un pò ingessato e monolitico. Segue al palato. Allegretti, da par suo, presenteva Castello Svevo e Barile. Il primo è un esempio di correttezza e precisione realizzativa, in grado di coniugare frutto e spezie, in una combinazione assolutamente non banale. La polpa del frutto ritorna al palato supportata da un discreto nerbo acido. Nel Barile c'è, di certo, maggiore sostanza e coinvolgimento che nel suo rosso base. Eppure non riesce a trasportare ed emozionare fino in fondo. Gli manca quel pizzico di complessità ed originalità in più che esalta altri campioni della categoria. I prezzi, invece, sono, sicuramente, più incorraggianti. Suo vicino di banco in degustazione è Oraziano 2003. Il nuovo corso intrapreso dalla cantina di Armando Martino è tutto in questo bicchiere dove lo stile più tradizionale ha lasciato posto ad un impostazione più curata e moderna anche nel gusto. Giannattasio presentava Arcà 2003 un pò monocorde nell'approccio olfattivo dove l'alcol schiaccia la paletta aromatica che sembra insistere su una nota di liquirizia senza trovare vie di fuga. Al palato segue con coerenza lo sviluppo gustativo annunciato al naso. Vigne di Mezzo di Feudi di san Gregorio produce due aglianico del Vulture Doc un base e la selezione Efesto. Sono costretto, in questo caso, ad una nota di degustazione "cumulativa" perchè i due vini presentano stessi pregi e stessi limiti. Ad un naso espressivo, finanche intrigante e territoriale fa da contraltare un palato decisamente scollegato e scomposto. Tra i due alla fine sicuramente da preferire la versione meno ambiziosa. Fabio Cimmino |