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Barbaresco Doc Masseria di Barbaresco 1969
Azienda Agricola Vietti - Castiglione Falletto (CN)
Vitigno : Nebbiolo
Alcol : 13 Bottiglia : 0,72 l N. 1323 (su 2250)
Data degustazione : 10/2003


E' con onore ed immenso piacere che vi parlo di una splendida esperienza enoica vissuta grazie al regalo di un amico: un Barbaresco Cascina Masseria di Barbaresco del 1969, prodotto dall'azienda Vietti di Castiglione Falletto in 2250 esemplari. Passata dalle mani del produttore alla meticolosa custodia in cantina climatizzata per oltre trent'anni, questa favolosa bottiglia n. 1323, perfettamente conservata, temeva di far la fine di altre compagne, magari confinate a vita come cimelio "da collezione" che, come tale, non sarebbe mai stata degustata, rendendo vana ogni ragion d'essere. Fortunatamente, iddio ha voluto che cotanto bene, non finisse nelle mani di chissà quale avido collezionista, bensì, per vie traverse, nella disponibilità di chi oggi ne scrive, rispettoso e riverente difronte a tale prodigio della natura. Quando ci si trova davanti ad esemplari di così lungo invecchiamento (nell'anno di vendemmia di queste uve il sottoscritto non era ancora venuto al mondo...), è comprensibile un minimo di timore relativamente all'incidenza del lungo tempo trascorso dall'imbottigliamento sulla materia prima. Mistero che non fa che rendere ancor più "sacrale" il momento dell'apertura che - in questi casi - ha già di per sé un non so che di "religioso". Nessun problema con l'estrazione del tappo - a differenza di quanto accadutomi recentemente con un Barolo del 1960 - ancora perfettamente intatto, a riprova dell'estrema qualità del sughero utilizzato e della cura nella conservazione. Meditino, a tal proposito, i giovani sommelier, quando ai corsi AIS insegnano che i tappi dopo 13/15 anni si sgretolano e vanno sostituiti. Questo ne ha più di 30 ed è perfetto. Così, solo per dire. Lo versi finalmente nel calice - il migliore possibilmente, che l'occasione merita - e già resti stupefatto. Il colore è ancora perfettamente integro, certo, ampiamente aranciato - è normale - ma senza alcun cedimento all'unghia, limpido (tanto buona è stata la conservazione) e di buona consistenza. Lo porti al naso e ti inebria. Il lievissimo accenno di ossidazione iniziale svanisce immediatamente dopo breve ossigenazione - nel calice, ampio, e non nel decanter che sarebbe un assassinio ! - e lascia spazio a sentori ampi ed intensi che ricordano il frutto rosso, ormai trasmutato in qualcosa di estremamente più complesso ed interessante. Lo annusi e lo riannusi, quasi fossi un felino, ed è un susseguirsi di sensazioni terziarie evolute ma incredibilmente integre: in particolare vi scorgi il tabacco, il ricordo del frutto sotto spirito (mirtillo, lampone) e il goudron, il tutto in un quadro di estrema eleganza e finezza. Nessuna puzza, nessun difetto olfattivo. A questo punto passi all'assaggio. La prima cosa a stupirti è la freschezza di un vino che ha passato i trent'anni di invecchiamento da un pezzo: un'acidità assolutamente piacevole e bilanciata che rende la beva - se ce ne fosse bisogno - ancor più accattivante. Poi il frutto, ancora perfettamente presente ed integro, molto evoluto, terziarizzato e geometricamente "fuso" al tannino ormai integralmente precipitato ed alla morbidezza, per uno splendido equilibrio ed un ottima piacevolezza di beva. Ciò che impressiona - su tutto - è la lunghezza, pressochè infinita. Un sorso equivale a minuti di persistenza aromatica intensa, accentuata dai continui ritorni in via retronasale. Eccellente da solo come compagno da meditazione - o da sbronza, non avendo grossi progetti per il giorno seguente - ho preferito abbinarlo ad un brasato al nebbiolo. Inno al vino "di una volta", alla tradizione e al territorio, espressione fedele delle potenzialità del nebbiolo, del saper fare in vigna oltre che in cantina. Probabilmente è introvabile. Se tuttavia qualcuno avesse la fortuna di custodirne gelosamente un esemplare in cantina, consiglio di resistere almeno ancora quattro o cinque anni per valutarne l'ulteriore - sicura - evoluzione. Ma per carità, bevetelo.


Filippo Ronco