Fumo, musica ed alcol: è terminato il menage a tre
di Angelo Matteucci
Il consumo di alcol agli albori della vita dell'uomo è stato sicuramente
un importante ingrediente nella poverissima dieta del periodo. I primi
vini, birre e fermentati di frutta aiutarono l'uomo nella sua sopravivenza.
In seguito e soprattutto per merito della distillazione, la tipologia
di prodotto ad alto contenuto alcolico fu utilizzata, agli inizi della
sua scoperta, per scopi medicinali.
A partire dal XVI secolo anche il distillato trovò il suo spazio sulle
tavole dei ricchi (cognac, armagnac, whisky invecchiato ecc.) e dei poveri
(grappa, gin, vodka, whisky non invecchiato, tequila, rum). Con la fine
del secondo conflitto mondiale i distillati in generale diventarono in
Europa, nel Nord America ed in altre parti del mondo, simbolo di benessere
e da allora il loro consumo non è più considerato cibo, ma una bevanda
gustata per il semplice piacere, speciale ai fini dell'aggregazione.
Naturalmente è importante limitare l'uso di alcol in ogni sua forma per
non eccedere in abuso.
Da pochi anni è iniziata in Italia una fase che sta modificando l'approccio
all'alcol per molteplici ragioni. In questo scritto desidero portare all'attenzione
una di tali importanti ragioni. Occorre dire subito che l'Italia ha ottenuto
un ottimo risultato con il divieto del fumo nei luoghi pubblici. Anche
i fumatori apprezzano andare al cinema, nei ristoranti e nei bar consapevoli
che l'aria è ora respirabile e se necessario escono all'aperto per soddisfare
le proprie esigenze di fumo.
Sono stato fino a poco tempo fa un fumatore soprattutto di pipa e sigaro
ed ancora oggi, in occasioni particolari non disdegno ritornare alle antiche
abitudini, non avendo mai fatto abuso di "nicotina" ne di alcol. La prima
volta che ho fumato è stata al cinema all'età di 12 anni con una ventina
di coetanei, seduti in una lunga fila, dove si fumò una sola sigaretta
che qualcuno di noi aveva prelevato di nascosto dal pacchetto del padre.
La fumata fu equamente divisa tra tanti, una sola boccata per poi passarla
all'amico vicino. In quegli anni ormai lontani tutti fumavano al cinema
ed è viva in me la visione dell' enorme nuvola di fumo illuminata dal
fascio di luci in movimento che dalla finestrella della cabina era proiettato
attraverso la platea, fino allo schermo. Crescendo ho frequentato altri
ambienti impregnati del forte odore di tabacco stantio non certo piacevole.
Evviva la legge contro il fumo, dunque!
Pur essendo pienamente d'accordo con questa scelta, ho una certa nostalgia
per determinati luoghi a me molto cari consolidati nella memoria. Sto
pensando alla piacevole frequentazione di bar e pub, di locali dove si
suona la musica jazz allora fumosi è vero ma particolarmente accoglienti
e vivi. Locali nelle varie parti d'Italia, storici per aver raggruppato
gli elementi ritenuti essenziali della vita notturna, le bevande alcoliche,
la musica soprattutto jazz spesso suonata in maniera divina dai grandi
miti del jazz nero e bianco d'oltre oceano. Non mancava l'odore del buon
tabacco che brucia lentamente, avvolto nella cartina o in una foglia di
tabacco pregiato o ancora nel fornello di una pipa di radica.
In quelle occasioni soprattutto il whisky regnava sovrano tra i consumatori.
La scelta era varia: bourbon on the rocks per essere più vicini alla cultura
musicale afro-americana oppure scotch più conosciuto perché ormai disponibile
nelle nostre case. Più rara era invece agli inizi la scelta di Irish whiskey
o di single malt scozzesi. Oggi nei nostri bar manca quella cara atmosfera
fumosa che si trova ancora nei pub in Inghilterra ed Irlanda e in generale
nel nord Europa su, su fino a Reykjavik oppure a New York nei sacri templi
del jazz come il Blue Note o (con nome appropriato) Smoke dove si può
gustare una birra o altra bevanda alcolica che ci riporta, per gli aromi
ed i suoni, ad un mondo che da noi è terminato.
Qui sono in contrasto con me stesso: cosa vorrei trovare nei locali che
ancora oggi visito, il fumo stantio di una volta, le pareti annerite come
nei bistrot di Parigi o di Vienna, i bicchieri con la patina opaca ed
un chiaro sentore di fumo, oppure la massima pulizia, l'aria pulita (traffico
permettendo) ed il viso contento del barista che non deve più respirare
il fumo passivo dei clienti? Dove sto meglio? La risposta è ovvia, preferisco
bere un bicchiere di vino, una birra oppure un single malt, un armagnac
o un gin & tonic pregustando con l'olfatto ciò che andrò a bere e questo
lo si ottiene oggi (se la tavola calda del bar non interviene con forti
odori) senza interferenze di altri aromi persistenti come il fumo.
Ma proprio perché l'olfatto è allenato a riconoscere determinati aromi
(che il cervello cataloga per tutta la vita unitamente ai piacevoli suoni
della musica) le mie sporadiche visite al Ronnie Scott' Jazz Club di Londra
o in altri club stranieri da me visitati, mi permettono, una volta varcata
la soglia, di ritornare indietro di alcuni lustri con mio immenso piacere.
Questi odori uniti agli aromi dell'alcol e legati alla musica dal vivo
sono esperienze indimenticabili che rimangono sotto pelle per l'intera
esistenza.
Angelo Matteucci
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